Maestra che mortifica

Da NERO SU BIANCO N. 23/2007

 

Cose da… TRIBUNALI!

 

Potrebbe capitare anche a noi…

 

 

Alla signora C. G., insegnante della scuola elementare di Senise, la Corte d’Appello di Potenza in data 6.2.02 confermava la sentenza del tribunale di Lagonegro che l’aveva condannata ad un anno di reclusione colpevole del reato di maltrattamento “attraverso ogni sorta di sterile autoritarismo, di umiliazione e di vessazione”  effettuato durante l'anno scolastico 1994/95 ai danni degli scolari della scuola elementare statale di Senise affidati alle sue cure. Avverso tale sentenza l’insegnante ricorreva per cassazione.

Il procedimento si è chiuso con la sentenza n. 43673/2002 ove la Corte esclude l’ipotesi di “abuso di mezzi di correzione” (“gli atti di violenza fisica o quelli lesivi dell'equilibrio psicologico del soggetto passivo” non possono intendersi mezzi educativi leciti di cui l’insegnante abbia abusato), condivide la conclusione del giudice del merito che aveva accertato che “il metodo di insegnamento e di educazione della C. era caratterizzato dall'imposizione di un regime di vita scolastica assolutamente ed inutilmente umiliante e vessatorio per i piccoli discenti, costretti a subire ogni sorta di mortificazione e a respirare un clima di vero e proprio terrore, con intuibili riflessi negativi sull'equilibrio del loro sviluppo psichico e sullo stesso profitto didattico: i bambini venivano costretti a stare in piedi per ore, a imitare gli animali, ad assistere - impotenti - alla distruzione di giochi che avevano portato da casa; venivano aggrediti verbalmente con espressioni ingiuriose e, a volte, anche fisicamente con percosse. Tale ricostruzione fattuale, confortata da precisi e convergenti elementi di prova, analiticamente apprezzati e valutati in sede di merito, conclama la configurabilità, nella condotta tenuta dalla prevenuta, dal contestato reato di maltrattamenti: si coglie, invero, l'abituale sofferenza imposta a bimbi che si erano appena avviati dall'esperienza scolastica e che, dovendosi rapportare ad un ambiente nuovo e diverso rispetto a quello più ristretto e protettivo della famiglia, avrebbero avuto bisogno di massimo affetto e di grande comprensione, per superare il trauma naturalmente connesso alla scolarizzazione (si consideri che trattasi di scolari della prima e seconda classe elementare). Il metodo della maestra C., invece, connotato - come accertato dalla Corte territoriale - da atteggiamenti lesivi del patrimonio morale e dell'integrità fisica dalle piccole vittime, rese abitualmente dolorosa e sofferta la relazione di queste con la loro insegnante.”

Ho riportato il testo integrale della sentenza perché con grande sensibilità i giudici hanno colto l’aspetto più grave dell’accaduto e cioè quello che per questi bimbi è stato “il dramma nel dramma”: trovarsi ad affrontare il distacco dalla famiglia, l’approccio al mondo esterno subendo un’incomprensibile ostilità in colei che al contrario avrebbe dovuto assicurare la prosecuzione dell’affatto familiare. La gravità dell’accaduto sta soprattutto nella totale incapacità  dell’educatrice a vivere nel modo adeguato e competente il suo ruolo di delicata responsabilità. Un tempo molti dei miei “contemporanei” hanno avuto il privilegio di avere simili insegnanti che  venivano addirittura selezionali dai genitori per tali doti (mettere i bambini per ore in ginocchio sul granturco, per es.). Meno male che oggi tali metodi “educativi” non esistono più anche se il rischio dell’iper protezione genitoriale, l’accentuata critica dei metodi di insegnamento, delegittimano il lavoro degli insegnanti, producendo effetti deleteri. L’equilibrio, ancora una volta è nel mezzo!

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