articoli sociali
Diffamazione ed insegnati
Da NERO SU BIANCO n.2/2008
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
… che i nostri figli siano mortificati a scuola.
Alla signora C. G., insegnante della scuola elementare di Senise, la Corte d’Appello di Potenza in data 6.2.02 confermava la sentenza del tribunale di Lagonegro che l’aveva condannata ad un anno di reclusione colpevole del reato di maltrattamento “attraverso ogni sorta di sterile autoritarismo, di umiliazione e di vessazione” effettuato durante l'anno scolastico 1994/95 ai danni degli scolari della scuola elementare statale di Senise affidati alle sue cure. Avverso tale sentenza l’insegnante ricorreva per cassazione.
Il procedimento si è chiuso con la sentenza n. 43673/2002 ove la Corte esclude l’ipotesi di “abuso di mezzi di correzione” (“gli atti di violenza fisica o quelli lesivi dell'equilibrio psicologico del soggetto passivo” non possono intendersi mezzi educativi leciti di cui l’insegnante abbia abusato), condivide la conclusione del giudice del merito che aveva accertato che “il metodo di insegnamento e di educazione della C. era caratterizzato dall'imposizione di un regime di vita scolastica assolutamente ed inutilmente umiliante e vessatorio per i piccoli discenti, costretti a subire ogni sorta di mortificazione e a respirare un clima di vero e proprio terrore, con intuibili riflessi negativi sull'equilibrio del loro sviluppo psichico e sullo stesso profitto didattico: i bambini venivano costretti a stare in piedi per ore, a imitare gli animali, ad assistere - impotenti - alla distruzione di giochi che avevano portato da casa; venivano aggrediti verbalmente con espressioni ingiuriose e, a volte, anche fisicamente con percosse. Tale ricostruzione fattuale, confortata da precisi e convergenti elementi di prova, analiticamente apprezzati e valutati in sede di merito, conclama la configurabilità, nella condotta tenuta dalla prevenuta, dal contestato reato di maltrattamenti: si coglie, invero, l'abituale sofferenza imposta a bimbi che si erano appena avviati dall'esperienza scolastica e che, dovendosi rapportare ad un ambiente nuovo e diverso rispetto a quello più ristretto e protettivo della famiglia, avrebbero avuto bisogno di massimo affetto e di grande comprensione, per superare il trauma naturalmente connesso alla scolarizzazione (si consideri che trattasi di scolari della prima e seconda classe elementare). Il metodo della maestra C., invece, connotato - come accertato dalla Corte territoriale - da atteggiamenti lesivi del patrimonio morale e dell'integrità fisica dalle piccole vittime, rese abitualmente dolorosa e sofferta la relazione di queste con la loro insegnante.”
Maestra che mortifica
Da NERO SU BIANCO N. 23/2007
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
Alla signora C. G., insegnante della scuola elementare di Senise, la Corte d’Appello di Potenza in data 6.2.02 confermava la sentenza del tribunale di Lagonegro che l’aveva condannata ad un anno di reclusione colpevole del reato di maltrattamento “attraverso ogni sorta di sterile autoritarismo, di umiliazione e di vessazione” effettuato durante l'anno scolastico 1994/95 ai danni degli scolari della scuola elementare statale di Senise affidati alle sue cure. Avverso tale sentenza l’insegnante ricorreva per cassazione.
Il procedimento si è chiuso con la sentenza n. 43673/2002 ove la Corte esclude l’ipotesi di “abuso di mezzi di correzione” (“gli atti di violenza fisica o quelli lesivi dell'equilibrio psicologico del soggetto passivo” non possono intendersi mezzi educativi leciti di cui l’insegnante abbia abusato), condivide la conclusione del giudice del merito che aveva accertato che “il metodo di insegnamento e di educazione della C. era caratterizzato dall'imposizione di un regime di vita scolastica assolutamente ed inutilmente umiliante e vessatorio per i piccoli discenti, costretti a subire ogni sorta di mortificazione e a respirare un clima di vero e proprio terrore, con intuibili riflessi negativi sull'equilibrio del loro sviluppo psichico e sullo stesso profitto didattico: i bambini venivano costretti a stare in piedi per ore, a imitare gli animali, ad assistere - impotenti - alla distruzione di giochi che avevano portato da casa; venivano aggrediti verbalmente con espressioni ingiuriose e, a volte, anche fisicamente con percosse. Tale ricostruzione fattuale, confortata da precisi e convergenti elementi di prova, analiticamente apprezzati e valutati in sede di merito, conclama la configurabilità, nella condotta tenuta dalla prevenuta, dal contestato reato di maltrattamenti: si coglie, invero, l'abituale sofferenza imposta a bimbi che si erano appena avviati dall'esperienza scolastica e che, dovendosi rapportare ad un ambiente nuovo e diverso rispetto a quello più ristretto e protettivo della famiglia, avrebbero avuto bisogno di massimo affetto e di grande comprensione, per superare il trauma naturalmente connesso alla scolarizzazione (si consideri che trattasi di scolari della prima e seconda classe elementare). Il metodo della maestra C., invece, connotato - come accertato dalla Corte territoriale - da atteggiamenti lesivi del patrimonio morale e dell'integrità fisica dalle piccole vittime, rese abitualmente dolorosa e sofferta la relazione di queste con la loro insegnante.”
Affidamento e babysitter
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
di perdere l’affidamento dei figli perché deleghiamo troppo il nostro ruolo.
Il Tribunale di Trani - nella sentenza che concludeva una causa di divorzio – confermava l’accordo raggiunto tra i coniugi nella separazione ed affidava i figli al padre, confermandogli l’assegnazione della casa, nonostante la madre ne avesse chiesto l’affidamento. Per questo motivo la donna propose appello ed il giudice del gravame stabilì che i figli fossero affidati alla madre con assegno di mantenimento a carico del padre.
In realtà, nel processo si ebbe modo di evidenziare e comprendere che la madre si era occupata dei figli in modo molto più ampio di quanto stabilito negli accordi, anche e soprattutto perché il padre per “impossibilità o altri motivi” aveva delegato a terzi i suoi compiti. Queste risultanze emergevano dalla relazione dell’assistente sociale e dalla consulenza psicologica svolta in sede processuale, oltre che “dalle ammissioni delle stesse parti relative, ad esempio, all’intervento di terze persone nell’accudimento dei figli”.